Tratto dal Libro “Privatizziamo! Ridurre lo Stato, liberare L’Italia” di Massimo Blasoni
Il Jobs Act varato dal governo Renzi va, in piccola parte, nella giusta direzione. Ma vale solo per il futuro e non per tutto quello che sin qui si è formato e rischia di dispiegare i propri effetti in un tempo eccessivamente lungo, finendo per applicarsi solo ai nuovi contratti e quindi, visti i bassi tassi di crescita e la scarsa dinamicità della nostra economia, a un numero troppo ridotto di persone e di imprese. Molti dei nodi elencati nelle pagine precedenti, peraltro, non sono affrontati. Il nostro mercato del lavoro continua a essere segmentato e i lavoratori penalizzati o avvantaggiati senza alcuna ragione di merito. Continua a essere ipergarantito il pubblico impiego, cui le norme del Jobs Act non si applicano né per il passato né per il futuro. Continua a esistere una contrapposizione tra chi è garantito in quel determinato posto di lavoro e chi è chiamato a misurarsi sul mercato. La dicotomia che prima esisteva tra lavoratori delle piccole e delle
grandi imprese oggi esiste ancora: da un lato, ci sono i lavoratori assunti nelle grandi imprese prima del marzo 2015; dall’altro, tutti gli altri, lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti e nuovi assunti in quelle oltre questa soglia. Questo bloccherà ancora di più il dinamismo del nostro mercato: quale lavoratore di una grande azienda con un contratto del vecchio tipo accetterà una nuova proposta, magari con un salario migliore, sapendo che finirà per rinunciare a una rendita di posizione praticamente perenne? Nessuno, ovviamente. Così come non vengono minimamente affrontati il tema della produttività e la patologia, cruciale e ben segnalata dalla Banca Mondiale, per cui è sostanzialmente impossibile legare l’andamento dei salari alla produttività del lavoratore e ai risultati dell’impresa.
Massimo Blasoni