Contro il totalitarismo e contro lo statalismo

Tratto dal libro” Privatizziamo!Ridurre lo Stato, liberare l’Italia” di Massimo Blasoni

In effetti, alcuni temi del liberalismo sono ormai pressoché universalmente accettati: anche da quanti si dicono avversi alla cultura liberale: dal pluralismo, al mercato concorrenziale, alla democrazia. Fatta salva quell’autonomia personale che in un certo senso nessuno mette più in discussione, oggi la vera competizione è tra liberalismo e socialdemocrazia, con quest’ultima nettamente orientata a fare proprie le tesi economiche di Keynes e della spesa pubblica. Meglio Hayek e la sua convinzione che i limiti della ragione umana finiscono per condannare ogni pretesa di costruire una società programmata dall’alto. Sono più consone le idee dell’economista austriaco alla sfida del nuovo millennio e alla patente esigenza di ridurre il debordante primato dello Stato. In questo senso, il liberalismo è oggi più valido che mai perché focalizza l’attenzione sull’individuo e valorizza l’umanità in quanto ha di specifico. È anche significativo che dopo l’ubriacatura statalista del secolo scorso, oggi nessuno sia più disposto a proporre uno Stato proprietario dei mezzi di produzione. Su questo punto la critica liberale al socialismo ha conseguito un successo definitivo. Resta però ancora una profonda differenza tra l’impostazione liberale e quella socialdemocratica. Il modo in cui queste due teorie politiche guardano alla società è assai diverso nel definire il rapporto dell’individuo con lo Stato, con la scuola, con il lavoro e con la libertà di impresa. Questa diversità talvolta può essere minimizzata dal sistema dei media e anche, e soprattutto, da talune ambiguità degli attori politici in campo, ma resta ed è decisiva. Senz’altro è vero che i partiti di sinistra hanno conosciuto notevoli cambiamenti. Non solo è molto lontano il Pci di stretta osservanza sovietica di Palmiro Togliatti, ma perfino l’eurocomunismo di Enrico Berlinguer, che ancora immaginava possibile una revisione del marxismo. Quelle tesi sono fuori gioco, perché sono i valori della libertà che si sono definitivamente affermati. Per questa ragione anche l’area detta «progressista» in qualche modo oggi deve fare i conti con il mercato capitalistico. Il coesistere di nuove propensioni
vagamente liberali e antiche attitudini stataliste genera però un «ircocervo»: che spicca per la sua incoerenza. E d’altra parte solo a questo può portare la convivenza nella medesima sinistra di Matteo Renzi e Susanna Camusso. Questo ci dice che in Italia non si può certo chiedere alla sinistra di giocare un ruolo autenticamente riformatore in senso liberale. Il
passato dell’area liberale, popolare e moderata è allora un patrimonio da valorizzare: qualcosa da conoscere e riscoprire. C’è ad esempio la necessità di tornare a leggere le pagine di Luigi Sturzo contro la malabestia dello statalismo o quelle di Luigi Einaudi a difesa del ruolo sociale delle classi medie, del risparmio, della piccola iniziativa privata. Questo lavoro di recupero e il giusto orgoglio riguardo alle proprie radici però non bastano.
Bisogna anche sapere leggere con onestà la storia dei liberali e dei moderati riconoscendo i troppi errori compiuti, i troppi tradimenti, le numerose timidezze. In vari casi, le forze politiche moderate non sono state davvero all’altezza, soggiacendo allo spirito dei tempi. È significativo che questo fosse in parte vero già ai tempi di Sturzo, se si considera che quando l’anziano sacerdote siciliano fu fatto senatore a vita, scelse di aderire al gruppo misto, in polemica con la Democrazia Cristiana, che avvertiva ormai lontana dai suoi ideali.

Massimo Blasoni
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