La cosiddetta «società civile»

di Massimo Blasoni

Società civile e politica non rappresentano una dicotomia. Certo la politica finisce per essere una corporazione, una delle tante, mai suoi membri sono stati e restano società civile. La politica, se si vuole, è società civile assurta a un diverso ruolo: in ultimo, però, è specchio dell’intera comunità.
Gli atteggiamenti opportunistici o emotivi che dominano i cittadini alla fine si riverberano su un’azione politica troppo condizionabile dagli umori del momento e quindi orientata verso la demagogia.
Non si tratta di vagheggiare scriba illuminati o di pretendere dal pubblico quel «degasperiano» guardare oltre le prossime elezioni,ma di comprendere che coesistono due ambiguità: quella rappresentata da un ceto politico che privilegia l’acquisizione del consenso alla responsabilità e quella, altrettanto censurabile, di un elettorato che preferisce non affrontare responsabilmente i problemi. Siamo dinanzi a un continuum nella società civile-politica: pernicioso, però. Ovviamente non è sempre così e in qualche caso la società civile anticipa il legislatore, sapendo talvolta fotografare prima della politica il mutare delle relazioni sociali, come nel referendum del 1974 sul divorzio.
Essa è però anche la sommatoria di troppi interessi particolari. L’Italia è piena di comitati di vallata, di quartiere e quant’altri, costituitisi solo per dire no: all’elettrodotto, alla Tav, ai rifiuti. Si ha a che fare con una difesa dell’interesse particolare che spesso non conosce ragione. Not in my backyard, lo slogan è sempre quello. I rifiuti vanno smaltiti, ma non vicino a casa mia: e questo anche se li ha prodotti la mia comunità. Le riforme sono necessarie, non quando mi riguardano direttamente. Tutto quello che è ragionevole in termini generali diventa quasi inaccettabile nel particulare. Questo non è un atteggiamento proprio delle fasce culturalmente più deboli. Tutt’altro. Vi è una refrattarietà estrema al cambiamento e quando dai gruppi si scende al singolo il problema si amplifica. Si contestano le raccomandazioni, ma solo se non ci riguardano. Si afferma in modo convinto di essere contro l’evasione quantunque
poi non si chieda la fattura. E si badi bene: non è questo un atteggiamento motivato unicamente dalla presenza di uno Stato pervasivo e tassatore, non è solo l’antagonismo a un Moloch che pure talora pare privarci della libertà.
Il privilegio del singolo finisce per imporsi anche a scapito delle libertà altrui: si fa semplice egoismo. E dietro il paludamento delle giustificazioni sempre ben congeniate (e spesso vissute come reali) esprime una dimensione assai gretta. Ovviamente non si può generalizzare e nella nostra società vi sono splendidi esempi di volontariato e dirittura morale. È però evidente che singolarmente presi,molto spesso, gli italian esprimono un particolarismo ben poco nobile. E collettivamente domina l’emotività, la xenofilia, l’inclinazione alla seduzione passeggera e poi all’ostracismo nei riguardi di sistemi politici prima amati e poi vituperati. E le malefatte di chi governa vengono contestate solo quando inizia a essere in discussione quel benessere che quel ceto politico doveva garantire.Gli aumenti ingiustificati e le assunzioni inutili non sono forse la rappresentazione di un gigantesco e ben gradito voto di scambio? Quanti sono coloro che hanno rifiutato le pensioni a 40 anni di età?
In questo senso – va ripetuto –, interfaccia della società civile sono non soltanto la politica, ma anche il sindacato, le associazioni di categoria, le Camere di Commercio: tutti soggetti che si sono istituzionalizzati sempre più e in cambio del loro crescente potere hanno contribuito a erogare provvidenze, entrando a pieno titolo in quell’ordito consociativo costituito da molteplici centri di decisione. E gli ordini professionali? Non sono forse anch’essi lo specchio di una medesima realtà? Notai, avvocati, commercialisti, medici,farmacisti e via dicendo sono riusciti, nel corso degli anni, a garantirsi varie e crescenti tutele: da tariffe professionali definite a numeri limitati per l’accesso a determinate professioni. E tutto ciò è avvenuto a discapito della libera concorrenza e della tutela dei diritti dei cittadini, costretti a pagare di più per prestazioni e servizi.
In questo quadro, come si colloca il rapporto tra le generazioni? I giovani che oggi vivono una drammatica crisi dell’occupazione sono, va detto in tutta onestà, anche loro figli di un percorso socio-culturale esageratamente protettivo. L’età media dell’emancipazione abitativa in Europa è 20 anni, da noi è 30. È certamente vero che le condizioni occupazionali in Italia sono difficili, ma al tempo stesso nel restare nella casa paterna si palesano due opposti egoismi: quello genitoriale e quello filiale. Il primo è nutrito di amore e possesso, l’altro talora di pigrizia.
Nel complesso (non in tutti i casi, è chiaro) si preferisce accettare condizioni di vita che sono via via peggiori, acquiescenti al declino, piuttosto che reagire. Come individui, certo, ma anche collettivamente.
La società civile partecipa alla politica non solo votando o astenendosi.Si è partigiani, divisi tra guelfi o ghibellini, oppure distratti e anche giustamente disincantati. In larga parte si è critici, anche se poi vi sono eserciti di candidati alle elezioni comunali del più piccolo paese, tutti pronti alle promesse più mirabolanti pur di essere eletti. Quegli stessi che fino a qualche giorno prima censuravano la dissennatezza della pubblica amministrazione, del partito e della spesa, all’improvviso difendono l’esistenza dell’ultimo comune, delle province, di quell’ente che improvvisamente potrebbero rappresentare. Vi è sempre qualche localismo da difendere, qualche rischio di esproprio del proprio territorio, del proprio ruolo, del prestigio di una comunità.
Parimenti il giudizio dei cittadini sui risultati di un’amministrazione è raramente ragionato. Il voto è più l’effetto di una precondizione culturale (comunque sono antidestra o antisinistra e viadicendo) e più ancora della capacità di far sognare, di promettere. Disincantata, ma desiderosa di demandare a qualcuno la soluzione dei problemi, la più parte dei nostri concittadini preferisce non approfondire.
Anche di questo la cattiva politica si nutre in un circolo vizioso, che essa in parte determina e da cui in parte è determinata. Con questo non si vuol dire che la società italiana nel suo complesso sia ammalata. Piuttosto che questo eccesso di egoismi, familismi,rapporti di clan e corporazioni non è per nulla liberale e finisce per non riconoscere nemmeno un minimo interesse generale.
Quello che ci può salvare è solo una diversa consapevolezza dell’eccezionale stato delle cose. Occorre che tutti sentano l’esigenza di una reazione insieme collettiva e individuale che implichi un vero ridimensionamento del ruolo dello Stato e l’enfatizzazione dei rapporti di sussidiarietà. Perseguire il nostro interesse è oggi paradossalmente rinunciare a una porzione di piccoli e grandi privilegi personali e nel contempo lavorare alla costruzione di una società privatizzata ed efficiente.

Tratto dal Libro “Privatizziamo! Ridurre lo Stato, liberare l’Italia” di Massimo Blasoni

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